Amiche e amici del Capri Comics, per inaugurare la nuova rubrica Nic(h)e Games, nella quale parleremo di bei giochi di nicchia, oggi affrontiamo Omori, una piccola perla videoludica sviluppata da Omocat, e che combina in sé il genere RPG classico e l’horror psicologico, disponibile su PC e da pochi mesi anche su PS4 e Nintendo Switch.

Il gioco mi ha particolarmente colpito per i suoi contenuti, inizialmente infantili all’apparenza ma che in realtà nascondono una storia molto profonda e toccante, il tutto coronato da un sistema di gioco molto semplice e intuitivo. 

Il gioco rientra anche nella categoria degli “Indie games” in quanto la casa sviluppatrice, la Omocat LLC, si è lanciata nella produzione di videogiochi solo nel 2020, proprio con Omori, mentre l’attività principale della società è la produzione e commercio di una propria linea di abiti, sebbene avessero in passato anche partecipato al comparto grafico di altri videogiochi. 

Nonostante il loro lieve impatto sulla giocabilità del titolo, avviso che la recensione conterrà PICCOLI SPOILER della trama di gioco, per cui fermate ora la lettura se volete evitarli totalmente.

Siete ancora qui? Bene, allora immergiamoci all’interno del mondo di Omori!

Omori: la presunta innocenza dell’Headspace

Nel gioco vestiremo i panni di Omori, un giovane ragazzo bianco e nero di circa dodici anni, che abita in una grossa stanza bianca (chiamata, per l’appunto, White Room) assieme al suo gatto. Uscendo dalla stanza, ci troveremo nel mondo di gioco, che successivamente verrà chiamato Headspace. 

I quattro personaggi giocanti.

I primi ad accoglierci saranno tre ragazzi, amici di Omori: Kel, un iperattivo ragazzino armato di palla da basket, suo fratello maggiore Hero, un ragazzo gentile ed altruista che adora cucinare, ed infine Aubrey, una simpatica ragazza della stessa età di Omori, che viaggia con un peluche di nome Plantegg. Questi tre personaggi costituiranno il “party” all’interno di Omori: il gioco è infatti un classico RPG a turni, dove non esistono classi, sebbene ogni personaggio possieda abilità e statistiche diverse. Hero, ad esempio, è in grado di guarire i compagni, mentre Aubrey è più portata a subire ed infliggere danni. 

I quattro personaggi giocanti non sono però gli unici umani che incontreremo: Mari è una simpatica ragazza che adora preparare picnic, anche nei luoghi più impensabili. Il suo cibo ci permetterà di guarire il gruppo senza spendere oggetti. L’altro personaggio è Basil, un timido e impacciato ragazzo che indossa sempre una corona di fiori ed adora fare foto dei suoi amici. Si tratta di un personaggio importante in quanto la sua sparizione darà il via alla vera e propria trama del gioco. 

Mari adora preparare picnic dappertutto… nel vero senso della parola…

L’Headspace è totalmente opposto alla White Room: è infatti interamente colorato e le tonalità di colore ricordano un disegno fatto con i pastelli. Le creature che lo abitano assumono le più disparate forme e dimensioni: piante parlanti, cani a forma di hot dog, addirittura è possibile incontrare pianeti antropomorfi in grado di parlare e che potremo anche affrontare in battaglia. Ci possiamo imbattere in fontane di bibite, navicelle spaziali e molto altro ancora. Inoltre, all’interno dell’Headspace, non esiste il dolore e tutto è meraviglioso e in pace. Persino La morte è ridicola, nell’Headspace: viene infatti sostituita con la trasformazione in un Toast (in inglese “to be toast”, che vuol dire tipo “Essere fritto” ed il gioco prende la cosa molto seriamente) e si torna in vita spalmandoci addosso la marmellata. L’unico elemento che stona all’inizio è proprio Omori, che mantiene la sua colorazione bianca e nera. 

Dalla descrizione sembrerebbe impossibile aver a che fare con un gioco dell’orrore. Questo in realtà si manifesta solo dopo averci lasciato liberi di giocare per un po’. La componente horror del gioco non si basa sullo spavento singolo, ma sull’instillare un vero e proprio senso di ansia ed insicurezza. Un mondo così bello, infatti, non potrebbe mai ospitare qualcosa di spaventoso, e noi giocatori involontariamente ce ne convinciamo durante il gioco. 

La nostra fonte di incubi

Almeno fino alla sparizione di Basil. 

Questo evento causerà una vera e propria spaccatura nel mondo, che inizierà ad ospitare creature simili a spiriti neri con un solo occhio, e che apparentemente solo noi giocatori saremo in grado di vedere.  

Il terrore che viviamo in Omori si basa sul concetto del “perturbante” di Freud: queste creature sono l’elemento disturbante del mondo e la loro esistenza genera in noi giocatori confusione e paura. Sebbene apparentemente innocue, la loro randomica apparizione ci terrà perennemente in ansia, sottolineando che quel mondo fantastico dove ci troviamo non è più così innocente. 

Omori tuttavia non smette di sorprenderci, in quanto dopo la sparizione di Basil, un altro evento ci coglierà impreparati… 

Il vero protagonista del gioco 

Dopo aver vissuto la scena della sparizione di Basil, il gioco ci chiederà di inserire il nostro nome. Scopriremo infatti che il vero protagonista del gioco non è Omori, ma bensì il suo alter-ego Sunny (rinominabile liberamente dal giocatore). Sunny è un sedicenne che vive in una cittadina chiamata Faraway Town. È un hikikomori, termine giapponese che identifica una persona che sceglie di non lasciare mai la propria abitazione. Durante gli eventi del gioco si trova solo nella sua casa, ed è in procinto di trasferirsi in un’altra città.  

Faraway Town, città natale di Sunny

Sunny non è sempre stato così: in passato era un ragazzo socievole che adorava suonare il violino e passare il tempo con i suoi amici, ossia ovviamente Aubrey, Hero, Kel, Mari e Basil. Quattro anni prima i ragazzi vissero un forte trauma infantile, che ognuno ha affrontato diversamente portando ad inevitabili rotture del rapporto. Sunny ha optato per l’isolamento e conseguentemente ciò ha portato alla nascita di Omori e dell’Headspace, un mondo interamente immaginario dove tutti gli amici con i quali ha troncato i rapporti sono più piccoli e gli vogliono bene. La randomicità dell’Headspace è quindi spiegata dal fatto che Sunny regredisce ad una fase infantile e partorisce un mondo che rispecchia quella sua mentalità.  

Sunny davanti allo specchio. Anche qui le creature lo perseguitano.

A seguito del trauma, poi, Sunny ha iniziato ad avere diverse fobie: queste si ripercuotono anche sull’Headspace, impedendo ad Omori di visitare alcune aree del mondo fino a quando Sunny non le supera. Le fobie vanno letteralmente affrontate: esse assumono l’aspetto di creature mostruose ed intangibili, e il terrore provoca a Sunny del dolore fisico reale. Alla fine, però, la fobia è sconfitta e l’Headspace diventa maggiormente esplorabile. 

Con l’aiuto di Kel (quello reale) Sunny finalmente lascerà la sua casa e potremo esplorare la città. Questa fase di gioco è molto diversa dalla precedente. Nel mondo reale, infatti, non esistono creature fantastiche da affrontare o avventure da vivere. Sunny ha la facoltà nel mondo reale di lavorare part-time, giocare ai videogiochi con altri ragazzi e collezionare figurine. Insomma, nel mondo reale Sunny è un ragazzo normale, che affronta problemi da adolescente.  

A differenza di Omori, a Sunny spettano missioni ben diverse…

A Faraway Town possiamo anche incontrare le altre versioni reali dei personaggi dell’Headspace tra cui anche Basil, con cui Sunny ha un rapporto molto speciale. Il ragazzo è spesso preda dei bulli ed il trauma che condivide con gli altri lo porta ad essere più fragile ed incapace di difendersi. In effetti Basil rappresenta una sorta di secondo protagonista, in quanto la sua storia si intreccia inevitabilmente con quella di Sunny ed Omori. 

Il nemico vero di Sunny è il suo passato, che il ragazzo non può dimenticare, ma non vuole nemmeno ricordare. Per questo ritorna sempre all’interno di quel mondo fantastico, sperando che i problemi del mondo reale lì non lo raggiungano… 

Conclusione  

È difficile dare una conclusione a questo articolo.

Omori è un gioco che ti lascia un misto di emozioni incredibile. Amore, odio, paura, dolore, felicità, ilarità… tutto ciò contenuto in un gioco che dura sì e no una ventina di ore. Il mio consiglio è di giocarlo con la giusta mentalità, altrimenti si rischia di sottovalutare una vera e propria perla. Non ho infatti parlato dei tantissimi easter egg presenti all’interno del gioco, delle creature che lo popolano e di tantissime altre cose perché consiglio di vederle con i propri occhi per viverle appieno.

Non ho altre parole per descrivere quanto questo gioco ha significato per me e quanto sia contento di consigliarvelo.

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Classe '96. Laurea in Economia Aziendale (non proprio correlata). Appassionato di anime e di ogni prodotto che abbia anche solo un minimo di roleplay. Dungeon Master a tempo perso. Avido videogiocatore e lettore. Particolarmente attratto da libri e giochi sconosciuti.

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