Amiche e amici del Capri Comics, è notizia di alcuni giorni fa che uno dei film horror italiani più influenti di tutti i tempi, Suspiria di Dario Argento, tornerà al cinema questo febbraio.

          Quale migliore occasione, quindi, di scoprire riscoprire questo capolavoro sul grande schermo? A tal proposito, questa notizia mi offre, in quanto grande estimatore di Argento, di parlarvi un po’ di Suspiria e in generale dell’opera di questo grande regista, oggi un po’ dimenticato e bistrattato, anche a causa delle prove autoriali non proprio brillanti degli ultimi anni.

          Seguitemi allora in questa retrospettiva su un artista che ha fatto della rappresentazione estetica della paura la propria cifra stilistica.

Lo shock visivo

Sul finire degli anni ’60, Argento riuscì a riunire tutti gli stimoli e gli elementi del cinema horror/thriller/noir/giallo (gli omicidi efferati, le soggettive del killer, gli assassini camuffati, le vittime donne, i protagonisti comuni, le sonorità rock, le luci sature, il montaggio frenetico, eccetera), esasperandoli e codificando un proprio stile, riconoscibilissimo ed estremamente intrigante.

          Innanzitutto, va detto che i film di Dario Argento non sono quasi mai interessanti per le trame, spesso ripetitive, ma piuttosto per l’estetica sperimentale che l’autore utilizza per raccontare la violenza e la follia. Da un punto di vista strutturale, il regista mantenne l’indagine e l’accumularsi degli indizi tipici dei gialli classici, ma, e qui sta la rivoluzione, li rese totalmente inutili al fine di svelare il mistero. In che senso? L’indizio veramente importante, quello che serve sul serio, nei gialli di Dario Argento, è spesso uno solo, enorme e definitivo, e molto spesso viene presentato allo spettatore in una forma visiva più o meno celata.

          Pur nella sua indubbia rozzezza, questo tipo di struttura presenta un certo grado di interesse. L’indizio visivo è democratico, è popolare, è alla portata di tutti, al contrario di una ricostruzione alla Sherlock Holmes. La persona meno brillante del mondo che però veda in faccia un assassino al momento di un delitto sarà comunque un passo avanti rispetto all’investigatore più geniale del mondo, che comunque, per scoprire l’identità di suddetto assassino dovrà cercare prove, moventi, e poi riunire tutti i dati in una soluzione che torni ed abbia senso. Questa è stata la rivoluzione portata avanti, forse inconsciamente, da Dario Argento: creare delle storie di mistero dove il mistero e l’investigazione sono irrilevanti, e l’attenzione è spostata sullo shock visivo, sul terrore e sull’immedesimazione del pubblico in personaggi comuni e sempre sul filo del rasoio. Anche ciò che accade, nei film di Argento, molto spesso non è del tutto verosimile, ma questa inverosimiglianza, questo tono fantastico, non risulta mai fastidioso. Almeno nei film migliori.

          Non va inoltre dimenticato che Argento preme moltissimo sulla follia pura come movente ultimo dell’assassino, una follia spesso causata da un trauma pregresso. L’assassino argentiano pertanto viene presentato come vittima a sua volta, in un cerchio che parte con la violenza e si chiude sempre con la violenza. In questo modo lo spettatore riesce ad entrare in empatia anche con il killer, empatia che ovviamente è portata avanti anche grazie alle soggettive dello stesso assassino al momento degli omicidi.

Profondo Rosso, 1975

Lacrime, Sospiri e Tenebre

Nel 1977, Dario Argento decide di intensificare l’elemento orrorifico, irrazionale e fantastico già presente nei suoi film precedenti e dirige quello che a detta di molti critici è il suo capolavoro: Suspiria.

          Il titolo e l’idea alla base del film sono liberamente tratti dal romanzo Suspiria de Profundis, di Thomas de Quincey, del 1845. Ventiquattro anni prima, nel 1821, de Quincey aveva scritto un romanzo autobiografico, intitolato Confessioni di un mangiatore d’oppio, nel quale raccontava appunto della propria vita sregolata e della propria dipendenza dall’oppio.

          Dopo un’importante carriera come saggista, nel 1845 de Quincey si dedicò al seguito delle Confessioni, e cioè Suspiria De Profundis, anch’esso incentrato sulla descrizione dei sogni e dei deliri indotti dalle droghe. In uno di questi sogni, l’autore sostiene di avere incontrato la dea latina protettrice dei neonati riconosciuti dal padre, Levana, la quale gli presentava tre donne: le “Nostre Signore del Dolore”. Esse avevano tre nomi latini: la prima, la maggiore, si chiamava Mater Lacrimarum, “Nostra Signora delle Lacrime”; la seconda Mater Suspiriorum, “Nostra Signora dei Sospiri”; mentre la terza, la più giovane, si chiamava Mater Tenebrarum, “Nostra Signora delle Tenebre”.

          Dario Argento prese l’idea alla base di Suspiria de Profundis e creò una trilogia cinematografica, nella quale ognuna delle Madri è in realtà una strega che con la propria influenza malefica sta infettando segretamente il mondo.

          In Suspiria si parla dunque della Madre dei Sospiri, Helena Markos, che si sarebbe stabilita a Friburgo a metà dell’800 e vi avrebbe fondato una congrega di magia nera mascherata da accademia di danza. Tutto il film quindi ruota intorno a Susy Benner, una giovane ballerina appena trasferitasi nella scuola. La ragazza si troverà invischiata negli omicidi commessi dalla congrega, intenzionata a tenere segrete le proprie pratiche all’interno dell’accademia. In Suspiria, ancora di più che nei film precedenti, la trama è un semplice pretesto per descrivere nel modo più viscerale possibile l’emozione della paura. Attraverso le luci colorate e sature, rosse, blu, verdi, le battute misteriose, la narrazione spezzata e le musiche ossessive, Argento crea una sorta di fiaba nera, una storia surreale nella quale la logica piano piano si incrina e si sfalda, proprio come accade nel passaggio dalla realtà all’incubo. E l’incubo è appunto una dimensione dove il razionale e la verosimiglianza vengono meno e dove l’unica legge è il terrore. Anche in Suspiria la soluzione del mistero (cioè la scoperta del covo della strega) giunge alla protagonista grazie ad un ricordo, e cioè alla riscoperta di una verità che ella conosceva sin dall’inizio del film, e che solo nel momento del bisogno estremo riesce a dissotterrare.

Suspiria, 1977

          L’enorme successo di Suspiria spinge Argento a scrivere e dirigere nel 1980 Inferno. Si tratta del secondo capitolo della trilogia sulle Madri, incentrato stavolta sulla Madre delle Tenebre, la più temibile delle tre e personificazione stessa della Morte. La trama di Inferno è ancora più semplice, e se vogliamo pretestuosa, di quella di Suspiria. Può essere infatti riassunta in una sola frase: la Madre delle Tenebre uccide tutti coloro che provano ad indagare su di lei e sul suo condominio/dimora a New York. Se Suspiria partiva da un assunto quantomeno verosimile e presentava un graduale sfaldarsi della logica, Inferno abolisce il razionale sin dal primo minuto, portando all’esasperazione la rappresentazione dell’incubo. Il risultato è quindi un film onirico, che vive di pura anarchia visiva e non segue nessuna regola narrativa classica. I personaggi sono solo carne da macello e la trama stessa salta da un punto all’altro senza una vera e propria coerenza o consequenzialità, come se l’influenza malefica di queste streghe avesse ormai completamente distrutto la realtà e le sue leggi. L’intero film sembra infatti ambientato in una dimensione altra, in un universo parallelo: l’inferno, appunto, che è sia esterno, sia interno alle vittime/personaggi. L’inferno dunque come territorio spirituale e totale, uno spazio della mente e del cuore che vive dentro di noi, distorcendo ciò che ci circonda. In Inferno di Dario Argento, dunque, la realtà non esiste più, e tutto ciò che è rimasto sono il caos e la morte. Cioè tutto è inferno. Non importa cosa facciano i personaggi: alla fine della loro strada ci sarà sempre e solo la morte. Quindi parliamo della vera essenza dell’horror, del vero significato della paura.

Inferno, 1980

Declini, Revisioni e Ritorni

Con gli anni ’80, il cinema di genere entrò in una fase di profonda crisi, fino ad un’agonizzante fine negli anni ’90.

          Dario Argento fu una delle vittime di questo declino.

          Se Tenebre dell’82, Phenomena dell’85 ed Opera dell’1987 possono ancora essere considerati come film solidi ed interessanti, con l’arrivo egli anni ’90 Argento iniziò a firmare film via via sempre più goffi, banali e tristemente poco curati, tra i quali La terza Madre, del 2007, inglorioso capitolo finale della trilogia sulle streghe.

          In questa parte finale della filmografia argentiana, le storie illogiche e innaturali rimangono le stesse, ma la messa in scena non è più quella onirica e sperimentale degli anni ’70, bensì quella ripulita, realistica e televisiva tipica degli anni 90/2000. Questo slittamento, visuale più che narrativo, risultò fatale per gli intenti orrorifici di Argento: una storia illogica messa in scena in maniera realistica finisce per risultare grottesca o trash.

          Eppure, l’influenza di Argento non smette di ispirare nuove generazioni di autori. Basti pensare al “remake” che lo stesso Suspiria ha ricevuto nel 2018, ad opera di Luca Guadanino. Un film davvero sorprendente, che mantiene lo scheletro argentiano e vi innesta sopra una carne politica, psicologica, psicoanalitica e sociologica, creando una revisione moderna di un classico immortale, che il prossimo febbraio tornerà al cinema per continuare a terrorizzarci.

          Personalmente, sarò in prima fila.

          E voi?

Suspiria, 1977

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Classe ‘92. Laureato in/appassionato di: lingue, letterature e culture straniere. Giornalista pubblicista, divoratore di storie, scribacchino di pensieri propri e traduttore di idee altrui.

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