Amiche e amici del Capri Comics, reduce dalla visione di Black Panther: Wakanda Forever, trentesimo film del Marvel Cinematic Universe, diretto e co-scritto da Ryan Coogler, personalmente mi resta, purtroppo, una sola, grande, triste domanda: come sarebbe stato con T’Challa?

Intendiamoci: il risultato finale è godibile e questo non è cosa da poco. Il film rischiava infatti di essere un omaggio stucchevole al compianto Chadwick Boseman, ma così non è stato. La Casa delle Idee è riuscita a confezionare un buon prodotto-tributo al personaggio-attore giocando abilmente sul filo sottile della rottura della quarta parete. Fin qui, tutto abbastanza liscio.

I problemi iniziano quando il film è chiamato a raccontare una nuova storia, che diventa inevitabilmente un nuovo film di origini, per me non molto riuscito, in primis perché ho trovato il ruolo di protagonista troppo frammentato fra tutti i comprimari. Il Girl Power è effettivamente onnipresente, ma ben studiato e mai fastidioso o cringe. E anche i ruoli maschili hanno gradevoli sfumature che creano dinamiche interessanti. 

Ciononostante, la nuova protagonista, Shuri, sorella di T’Challa e nuova Pantera Nera (interpretata da Letizia Wright), non risulta mai veramente adulta, o cresciuta. Pur compiendo appieno il suo personale viaggio dell’eroe, il personaggio non sembra trovare un fuoco concreto al termine della pellicola.

Altro discorso va fatto invece per sua madre, la Regina Ramonda, che prende le redini del primo e secondo atto. Con una prova attoriale davvero magistrale, l’attrice Angela Bassett riesce a restituire, con spessore e credibilità, sia il dolore di una madre, sia la forza d’animo di una Sovrana la cui patria è presa di mira perché ormai ritenuta indifesa, senza la Pantera.

Quanto all’attesissimo Namor, incarnato con una certa efficacia da Tenoch Huertam, posso dire che il personaggio ha tutto il fascino del classico antagonista Marvel, dato principalmente dall’esplorazione del suo passato e delle sue motivazioni, alla nascita del regno sottomarino di Talocan. Nonostante ciò, il suo “core” non risulta davvero credibile, e quindi la domanda che mi rimane è: quanto tempo e approfondimento in più gli sarebbero toccati, se avesse potuto confrontarsi con T’Challa?

Per quanto riguarda le altre new entry, allo scorrere dei titoli di coda ho avuto la netta sensazione di averle conosciute solo di sfuggita, e solo per i fini puramente utilitaristici della trama. 

Pur non risultando pesanti, devo quindi ammettere che le tre ore del film potevano essere impiegate meglio e potevano lasciare di più negli occhi e nel cuore degli spettatori, o almeno di questo spettatore che scrive. Wakanda Forever infatti accontenta ma non stupisce, intrattiene ma non è memorabile, e persino le superbotte catartiche del terzo atto risultano abbastanza blande. Uno dei nuclei drammatici della storia, vale a dire il tragico scontro tra il regno di Wakanda e il regno sottomarino di Talocan, si risolve infine su una sola nave, con una manciata di guerrieri, con coreografie abbastanza dimenticabili. 

Allora: a cosa abbiamo assistito con Wakanda Forever?

A parer mio, al netto del tributo a T’Challa, abbiamo assistito principalmente al worldbuilding non molto ispirato di una Atlantide non Atlantide, riprogrammata (forse fin troppo a tavolino) con un restyling maya/azteco che, puntando troppo al “realismo”, crea una ambientazione scomoda alla vista, buia e silenziosa, poco “fantastica” e persino priva di una tecnologia soddisfacente.

Il comparto tecnico qui resta seduto un po’ sugli allori del primo capitolo, che nella stagione 2019-2020 era riuscito a raccogliere ben 3 Oscar e diverse nomination e vittorie a vari award, cosa rara se non unica per un cinecomic. Qui, le sequenze ambientata in Wakanda sono visivamente piacevoli, ma non posso dire lo stesso per i momenti passati nel resto del mondo. Il comparto sonoro sottolinea con il giusto peso le scene più significative, anche e soprattutto nelle scelte di silenzio, una su tutti, quella della sigla iniziale: un minuto di assoluto silenzio e rispetto per un amico, collega, eroe, scomparso davvero troppo presto. 

Insomma: Wakanda Forever riesce ad essere un tributo sentito, fine e mai melassoso, ma nel fare bene questo si disunisce sul resto, risultando così un’opera godibile, ma nel complesso poco compiuta e a fuoco.

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Classe '90. Farmacista per sbaglio, noto accumulatore di giochi da tavolo. Nasce e cresce a suon di Marvel e Disney e tanto basta...

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