Amiche e amici, oggi vi voglio parlare di Winnie The Barbarian, fumetto edito da Baya Comics, scritto da Luca Puggioni e Andrea Cavaletto, disegnato da Davide Di Marco Pisciottano e colorato da Alice Passeri, fresco fresco di pubblicazione il 7 novembre scorso. Da segnalare anche la copertina, disegnata da Pisciottano e colorata da Gabriele Dell’Otto.
Ho apprezzato molto questa storia, stratificata ma immediata, che si immette in quel filone di racconti di formazione fantastici dove un giovane protagonista trova a sconfinare in un mondo immaginario, in parte o del tutto riflesso del proprio mondo interiore. Una tradizione che ci ha regalato opere immortali come Alice nel Paese delle Meraviglie, Peter Pan, La Storia Infinita, Coraline e la porta magica, La città incantata e Il labirinto del fauno, quest’ultimo, a mio parere, il più vicino a Winnie The Barbarian per tono e struttura.
Perciò, se amate questo tipo di narrazioni sospese tra sogno e trauma, infanzia e sopravvivenza emotiva, allora questo fumetto vi consiglio caldamente di recuperarlo.
Mani avanti: legami ed oggettività
Prima di entrare nel merito, permettetemi una dovuta premessa.
Non capita spesso (almeno non a me) di scrivere di un’opera che hai visto nascere, se non dalla sua concezione, almeno dalla sua genesi visiva, che poi, per un fumetto, è quella decisiva.
È però questo il caso di Winnie The Barbarian, che ho avuto la fortuna di osservare prendere forma attraverso il lavoro di uno dei miei più cari amici, Davide Di Marco Pisciottano, autore dei disegni. Ricordo bene quando mi informò di essere stato scelto per lavorare ad un nuovo progetto, un fumetto, che quindi mi raccontò come sa fare lui, con la maestria del narratore nato. E quindi mi parló di questa storia ambientata nell’Irlanda dei primi del Novecento, dove una bambina vive un’infanzia segnata da un padre violento, da una madre resa inerme e dalle tensioni politiche dell’epoca: un coacervo di influssi negativi che infettano i sogni della ragazzina dando vita ad incubi terribili che la minacciano, per poi essere affrontati e domati dal suo guardiano, un guerriero magico che prende la forma di un orsetto di peluche e che fa rapporto ad un mondo fantastico e segreto, popolato da altri protettori come lui.
Un’idea semplice, ma forte e sviluppata con grande sensibilità. Una storia perfetta per Davide, che la accolse con dedizione e rigore, arricchendola con la sua visione, creatività e cuore. E quindi, dopo avermela spiegata a voce, me la raccontò con le primissime immagini che creava, sviluppandola a poco a poco insieme agli altri autori coinvolti. E così io non vedevo l’ora di avere tra le mani il fumetto finito. Dopo qualche anno e varie vicissitudini, eccolo qui.
Insomma, mi ripeto: non capita molto spesso di avere amici artisti, vivere il loro processo e scrivere di un loro lavoro. Oggi mi capita. E ne sono felice. Perché Davide è un amico fraterno e io mi sento di parlare di Winnie The Barbarian perché, sinceramente, l’ho apprezzato molto. Ovviamente, per tutto quanto sopra, sarò di parte, quindi la mia oggettività potrebbe non essere ferrea. Ma non avrei mai potuto esimermi dal parlare di questo fumetto.
La forza di un orsetto di peluche (No spoiler)
Winnie The Barbarian è un fumetto tenero e brutale al tempo stesso, proprio come il suo protagonista, un orsetto in bilico tra la dolcezza del peluche “terapeutico” e la ferocia del guerriero votato alla difesa altrui. Questa dualità sta al cuore del racconto: la lotta, a volte sanguinosa, tra innocenza e sopravvivenza, tra protezione e violenza, tra affetti e indole.
La costruzione narrativa è stratificata ma immediata e i livelli di lettura, quello del divertimento o dell’introspezione, sono facilmente scalabili a seconda della propria curiosità e interesse. Leggasi: arte di genere nella sua forma più riuscita.
Gli autori riescono a bilanciare il registro fantastico con quello psicologico, lasciando che la dimensione onirica rifletta in modo coerente le ferite interiori della protagonista. Il ritmo è costituito da un crescendo che alterna momenti di divertimento e scoppi improvvisi di dramma. Forse, l’unico appunto personale che mi sento di fare riguarda il finale, ma ve ne parlerò nella sezione spoiler a seguire.
Intanto confermo che il lavoro sui disegni è di grande finezza. La regia delle tavole, la gestione degli spazi e la caratterizzazione dei personaggi e dei mondi rivelano uno studio attento e una chiarezza narrativa che permette al lettore di percepire subito i centri emotivi e drammatici delle scene. Ogni vignetta ha un suo peso visivo preciso e e sblocca emozioni in un fluire diretto e armonico che accompagna naturalmente lo sguardo.
La colorazione sottolinea e accompagna in maniera funzionale il racconto, anche se si sarebbe potuto osare di più, magari immaginando una caratterizzazione cromaticamente più spinta che distinguesse e poi riunisse il mondo della veglia e il mondo dei peluche. I dialoghi sono agili e ironici e anche loro contribuiscono a dare ritmo e caratterizzazione, accompagnando bene il tono visivo e tematico dell’opera.
Winnie The Barbarian mi ha convinto. Perché è un racconto che parla con la voce dell’infanzia ferita, del guerriero stanco, delle persone buone che fanno scelte sbagliate. Perché è un fumetto tenero, duro e sincero, che racconta come l’auto distruzione sia il nostro più grande nemico, e di come la fragilità e il coraggio possano convivere e generare significato, resistenza e salvezza, tanto nelle vittorie quanto nelle sconfitte.
L’ineluttabilità del trauma (Spoiler!)
Andando ad approfondire un po’ l’impianto del fumetto (non proseguite se non l’avete ancora letto) mi viene da dire che la storia Winnie The Barbarian è una tragedia.
Nel senso che il suo corpo narrativo è colmo di ferite, ovvero avvenimenti dolorosi e traumatici, e nonostante le cure, ovvero risalite e catarsi, alla fine la gravità di quelle ferite è troppo grande. Di conseguenza, l’esito può essere solo, o almeno in larga parte, crudele, spietato.
Winnie muore proteggendo chi ha giurato di difendere, Agnes, mentre il padre della bambina, Fergus, perisce soffocato dai suoi demoni. Ciò che resta è una rovina, dolorosa e sanguinante, da cui bisogna ripartire, facendo meglio del passato. Queste morti impietose del padre e dell’amico immaginario rappresentano l’età adulta che arriva come uno strappo, una ferita improvvisa che squarcia il guscio protettivo dell’infanzia. Personalmente avrei gradito qualche pagina in più per accompagnare la chiusura, non per addolcirla, ma per darle un respiro emotivo più ampio. Tuttavia, questa brutalità improvvisa è coerente con il tono generale della storia.
Approfondendo i personaggi, dobbiamo partire da Winnie, che è un guerriero tragico e consapevole della propria fine. Una versione dark del Winnie the Pooh di Milne: è spietato, solitario, ma porta dentro il peso dei suoi fallimenti. Il suo “Christopher Robin” perduto vive infatti nella sua mente, per ricordargli le sue inadeguatezze, ma anche per spronarlo ad essere migliore. La rinuncia all’autorità e alla corona del mondo dei peluche ce lo pone come un anarchico, guidato dall’istinto, ma con un ferreo senso di giustizia.
Agnes, la sua protetta, è inizialmente una bambina inerme, schiacciata dalle dinamiche adulte, ma capace di resistere. Nel finale emerge la sua indole curiosa e avventurosa, pronta a ricostruire la propria vita nonostante il trauma subito.
Fergus, il padre, è un uomo buono ma fragile, sviato dall’insicurezza, travolto dall’alcolismo e dalla violenza. Incapace di dare forza alla sua parte migliore, diventa preda di chi si avvale dei deboli per altri scopi, pagando così le conseguenze delle proprie mancanze e decisioni.
Margaret, la madre, è anche lei inerme ma tenace, esempio di resilienza per Agnes e ultimo suo punto di riferimento.
I comprimari, soprattutto gli altri peluche, sono ben caratterizzati visivamente e arricchiscono il mondo della storia. Tra questi spicca Re Teddy, lo scudiero insicuro costretto a regnare per abdicazione altrui: la sua evoluzione finale mostra il vero valore che non è mai l’impermeabilità alla paura, bensì l’agire a dispetto della paura stessa per il bene altrui.
Infine, gli incubi: mostruosi, inquietanti, perversi. Ma, e qui sta una delle migliori trovate del fumetto, non sono nemici da distruggere, ma creature da domare. Una bellissima metafora per i traumi interiori: affrontarli non significa per forza cancellarli, ma imparare a conviverci e trarre nuova forza da essi.
In definitiva, questo fumetto ha un passo felice, divertente e intimista, completato da una resa visiva evocativa ed intrigante che lo porta oltre le premesse e lo rende un piccolo gioiello da recuperare. Quando sono arrivato all’ultima tavola, mi sono accorto che il viaggio è stato più profondo di quanto immaginassi e ho desiderato tornare indietro per una lettura più concentrata. Ma ciò che mi ha convinto più di tutto è il coraggio di questo fumetto: quello che abita la pagina e l’architettura drammaturgica costruita dagli autori, certo, ma anche quello che vive nelle scelte editoriali di Baya Comics, che sta portando avanti un progetto interessante e necessario, che vi consiglio di seguire con attenzione.
About the author
Classe ‘92. Laureato in/appassionato di: lingue, letterature e culture straniere. Giornalista pubblicista, divoratore di storie, scribacchino di pensieri propri e traduttore di idee altrui.

















